giovedì 25 dicembre 2014

A Devil's Wish

"Ah, queste cose non fanno per me."
"E dai, smettila di lamentarti!"
Guardò le strade con aria cinica. Tutte quelle luci colorate che lampeggiavano, gli alberi decorati a ogni angolo, persone accalcate davanti alle vetrine: ma che senso aveva? Infondo, era un giorno come un altro. Dopo tutti i festeggiamenti, i regali, ognuno sarebbe tornato mestamente alla propria vita, come se nulla fosse mai accaduto.
"Ti ricordo che ho rischiato di farmi espellere da scuola per te." riprese Eric, agitando le mani nelle tasche della felpa. "Mi devi questo favore."
"Hai rischiato di farti espellere perché sei un idiota, non per me. Nessuno ti ha chiesto di fare quello che hai fatto."
"Ehi!" protestò. "Quando qualcuno insulta il mio migliore amico, non posso stare a guardare. Se lo è meritato!"
"Non c'era bisogno che gli rompessi il naso."
"Sì, invece!"
Castiel lo guardò severamente, poi gli rivolse un sorriso benevolo. Avrebbe voluto ringraziarlo, ma non trovava alcun modo per farlo. Le parole gli rimanevano bloccate nella gola, non riusciva a pronunciarle. Sospirò e cambiò argomento.
"Hai già in mente cosa regalarle?"
"No. Per questo ho bisogno di te."
"Ok. Sai almeno cosa le piace?"
"Be'... Le solite cose."
"Non ne hai idea, vero?"
Eric si grattò la nuca e chinò la testa, e Castiel rise. Si guardò intorno, cercò nella piazza gremita di persone l'insegna di qualche negozio che avrebbe fatto al caso loro, poi affermò:
"Infondo a questa strada c'è una boutique che sta per chiudere e ha la merce in saldo."
"Borsetta griffata a prezzo stracciato!" esclamò Eric, chiudendo la mano in un pugno. "Ottima idea!"
Si avviarono decisi verso la direzione scelta, lasciando le proprie impronte sulla neve caduta quella mattina. Molte persone, seppur indaffarate con gli ultimi acquisti natalizi, spendevano qualche istante a osservare quella strana coppia, quei due ragazzi così diversi tra loro: Castiel, distante dal mondo nella sua giacca lunga e scura, che non aveva ancora vent'anni e già sembrava adulto, ed Eric, entusiasta e sorridente come un bambino. Era difficile immaginarli amici, persino compagni di scuola.
Eric scosse la testa. Davanti a loro, una ragazza vestita come un gattino dei cartoni animati raccoglieva fondi per qualcosa e distribuiva volantini, faceva giravolte, canticchiava una sorta di canzoncina e si inchinava quando qualcuno le lasciava un'offerta e conversava con i bambini rapiti da quella sorta di gigantesco peluche vivente.
"Deve fare un caldo terribile là sotto." commentò. "Sai, mi sono sempre chiesto chi ci fosse, nascosto dentro quei costumi. Tu no?"
Castiel sbottò cinico:
"No, mai."
"Spesso ho sperato di vedere una ragazza bellissima che si leva quella testa di peluche e si volta a sorridermi."
"Eric, se fosse una ragazza bellissima, raccoglierebbe molti più soldi vestita da coniglietta di Playboy, che da peluche. Se le hanno messo in testa quella palla di pelo, deve esserci un motivo."
"Sei tremendo!"
Quando le passarono vicino, la ragazza gli offrì due dei volantini che teneva in un cestino di vimini, e li salutò agitando la mano, per poi tornare a gesticolare per i bambini che l'assalivano euforici.
Castiel ed Eric lessero distrattamente quei foglietti colorati.
"Raccoglie fondi per la mensa della scuola." fece Eric.
"Che razza di scuola è, se non può nemmeno permettersi una mensa?" commentò l'altro derisorio. "Certi istituti dovrebbero essere chiusi e basta."
"Non fare lo spocchioso solo perché hai qualche soldo in più, ok?"
Quando arrivarono davanti al negozio che Castiel aveva consigliato all'amico, entrambi rimasero con gli occhi sgranati ed esitarono. C'era una fila lunghissima all'ingresso, e una commessa infreddolita che cercava di tenere a bada i clienti e fare ordini.
"Oh, no!" esclamò Eric, "Quanto tempo ci vorrà per entrare?"
"Non meno di un'ora, e dubito che rimarrà qualcosa di decente."
"Accidenti!"
Castiel si accese un'altra sigaretta e si guardò intorno risoluto.
"Ascolta, vado a vedere cosa posso trovare in giro, tu resta a fare la fila."
"Davvero lo faresti?"
"Sì. Non farti fregare il posto, idiota."
Senza nemmeno ascoltare i ringraziamenti nei quali l'amico si era profuso, tornò a grandi passi verso la piazza, facendosi strada tra le famiglie sorridenti che occupavano i marciapiedi, i ragazzini che correvano avanti e indietro e le coppiette smielate che camminavano lentamente per strada.
Castiel si sentiva come in una bolla. L'unico essere umano rinchiuso in una bolla di realtà, mentre il resto del mondo si fingeva felice e festeggiava senza alcun vero motivo.
La ragazza-peluche era ancora lì, e i bambini non la circondavano più. Lui la guardò da lontano, incuriosito. La vide afferrare con le dita la testa di gatto che indossava e tirarla verso l'alto.
Ripensò alle parole di Eric e prese a fissarla con attenzione. Chissà com'era realmente, il suo volto.
Vide una splendida cascata di boccoli scuri scivolare dal collo alle spalle della ragazza, lentamente. Poi, lei scosse la testa per ravvivarli, e si stropicciò gli occhi prima di mostrare le iridi di un caldissimo color miele. Il viso era accaldato, le gote rosse, le labbra umide, il collo bianco e madido di sudore.
Restò con la bocca schiusa per lo stupore, e la sigaretta gli cadde a terra, rotolando un paio di volte prima di spegnersi nella neve. Sembrava una bambola di porcellana che aveva appena preso vita. Era bellissima.
Si avvicinò per guardarla meglio, pensando a un modo per parlarle. Infondo, sarebbe stato semplice. Gli sarebbe bastato mettere dei soldi nel cestino, iniziare una conversazione banale e portarla via con sé. Dimenticò completamente dell'amico rimasto a fare la fila fuori a un negozio. Doveva averla, a ogni costo. Voleva sentire la sua voce, il suo profumo, la morbidezza di quei capelli.
Osservandola, però, rallentò il passo. Era minuta, con le braccia gracili e le mani piccole. Il seno non ancora sbocciato e il corpo acerbo. Un fiore che non poteva essere colto così presto.
Si fermò e si premette un palmo sulla fronte. Cosa stava facendo? Quella era poco più che una ragazzina. Probabilmente, sarebbe diventata una donna stupenda entro un paio di anni, ma non poteva avvicinarsi a lei. Era abituato a un altro genere di ragazze, a quelle consumate nell'anima e nel corpo come lui, quelle alle quali poteva mentire senza avere sensi di colpa e che sapevano difendersi da sole. Una creatura così fragile e delicata, come un fiocco di neve... Aveva bisogno di essere protetta, mentre lui l'avrebbe solo sporcata, rovinata.
Sospirò con amarezza. Nel frattempo, un gruppo di bambini l'aveva di nuovo accerchiata. Qualcuno la chiamava, qualcun altro chiedeva abbracci e giravolte, e lei pazientemente li accontentava tutti. Non si accorse nemmeno di lui, quando le passò accanto e mise una cifra spropositata nel suo cestino.



    Nella mente di Castiel, quel ricordo era rimasto ben impresso. Erano passati quasi dieci anni, ma ricordava ancora perfettamente le fattezze di quella ragazzina. Seduto sulla sua poltrona, sul trono del Charming Devil, con il registro aperto tra le mani, alzò il volto verso Emily, che lucidava il pavimento canticchiando.
"No, non può essere." mormorò impercettibilmente tra sé e sé.

venerdì 12 dicembre 2014

A Devil in Paris - Hell of a Laundry

Ovviamente, ero io ad occuparmi di tutte le faccende di casa per Castiel. Pulizie, cucina, bucato: di giorno ero una badante, di pomeriggio l'animaletto da compagnia di Mami, e la sera, per tutta la notte e fino al mattino, finalmente, l'amante di Castiel.
Era impossibile che una persona come me non combinasse guai, ma cercavo di stare attenta, perché non riuscendo a pronunciare una sola parola in francese, non avrei saputo come chiedere aiuto.
Purtroppo, per quanto potessi essere prudente, c'erano cose che accadevano a prescindere, e non potevo fare nulla per evitarle.
La lavanderia si trovava al piano di sotto del nostro appartamento. Ogni volta che scendevo le scale, qualche indumento cadeva dalla mia cesta, e rischiando di rotolare giù per i gradini, mi chinavo a raccoglierlo. Finché si trattava delle camicie e delle giacche di Castiel, non mi preoccupavo più di tanto, ma è capitato spesso che i vicini notassero i miei completini succinti, e qualcuna di quelle cosette che Castiel mi regalava perché le indossassi apposta per lui. Era sempre così imbarazzante. Non sapevo cosa dire, e se anche mi fosse venuta in mente una risposta intelligente, non avrei saputo tradurla. Così sorridevo, recuperavo merletti, nastri, reggicalze e babydoll e continuavo per la mia strada, lasciando che i vicini mi credessero una sorta di maniaca sessuale.
E così, un giorno accadde uno di quegli eventi inevitabili. Vidi per la prima volta l'inferno, ed era fatto di acqua e bolle di sapone.
Non so bene cosa successe. Misi i vestiti nella lavatrice come al solito, poi il detersivo, la chiusi e l'avviai. Niente di più semplice. L'avevo fatto centinaia di volte.
Quella macchina infernale, però, cominciò prima a borbottare, poi a sussultare, e a emettere strani suoni e rumori, fino a che sentii scorrere dell'acqua, e prima che realizzassi cosa stava succedendo, il pavimento era diventato un prato di schiuma pericolosamente scivoloso. Mi avvicinai alla lavatrice con cautela, pensando di spegnerla, di rimediare, o perlomeno di interrompere quella produzione in massa di bolle, ma mi ritrovai per terra, supina, e con il mento dolorante: ero scivolata, e mi ero anche fatta male. Strisciai sulle ginocchia, raggiunsi la lavatrice, mi misi a premere dei tasti a caso per farla smettere, e non ottenni nessun risultato. L'acqua sgorgava copiosa, la schiuma aumentava di volume, e ogni volta che provavo ad alzarmi scivolavo di nuovo. Era un incubo. Presi il mio cellulare per chiamare aiuto prima che il piano di sotto si allagasse completamente. E chi avrei potuto chiamare? Non conoscevo nessuno. Mi toccò disturbare Castiel durante uno dei suoi incontri, e sperare che mi rispondesse, che mi desse una mano e che non si infuriasse troppo.
Con mia sorpresa, mi rispose preoccupato.
"Cosa è successo, Emily?"
"Ho bisogno di aiuto, sto annegando!" gli dissi in preda al panico.
"Cos... Aspetta, come sarebbe a dire che stai annegando?!"
"Non lo so, la lavatrice è impazzita, sono bloccata in un mare di schiuma!"
"Ok, ascolta. Dovrebbe esserci un cartellino sul lato della lavatrice, con il numero del centro assistenza. Leggilo ad alta voce e li chiamerò io."
"Ok."
Mi alzai goffamente, appesantita dai miei stivali inzuppati d'acqua, e vidi le mie gambe già segnate dalle cadute. Presto avrei avuto dei lividi spaventosi. Cercai qualcosa a cui reggermi, raggiunsi il lato della lavatrice e fissai quello che rimaneva di un adesivo sbiadito per decifrare il numero.
"Ci sono!" dissi trionfante, "Allora, il numero è... Ah!"
"Emily?!"
"Ahi..."
"Maledizione, che diavolo stai combinando?!"
"Sono caduta di nuovo. Che male..." piagnucolai affranta e frustrata.
"Va bene, ho capito. Resta dove sei."
"Eh?"
"Sto arrivando, perciò non muoverti da lì."
Non mi diede il tempo di scusarmi, né di ringraziarlo. Mise giù la chiamata ed io rimasi con il cellulare tra le mani, circondata da bolle di sapone che sembravano volermi seppellire. Sperai che non ci fosse traffico, che lui arrivasse in fretta, e così fu.
Lo vidi spuntare sulla soglia della porta, agitato e stupito. Prima mi guardò con tenerezza, ma subito dopo esplose in una risata derisoria. Cominciò a camminare verso di me, con un equilibrio invidiabile, poggiando i palmi delle mani lungo le pareti, mentre io tendevo le braccia verso di lui, aspettando che mi salvasse. Mi sentivo così ridicola.
Mi aiutò ad alzarmi, e per poco non finimmo entrambi per terra. Mi aggrappai saldamente a lui e in un modo o nell'altro riuscii a venire fuori da quell'inferno, gocciolante e infreddolita.
Lui guardò la sua preziosa maglietta griffata marchiata irrimediabilmente dalle mie mani intrise di sapone e scosse la testa, poi fissò lo sguardo su di me.
"Non preoccuparti, le macchie verranno via." lo tranquillizzai.
Ignorò del tutto la mia frase, e invece mi chiese:
"Ti sei fatta male?"
"Solo un po'." risposi mostrando il mio polpaccio che stava già iniziando a gonfiarsi.
Castiel fece una smorfia.
"Ah... Andiamo di sopra, tutto questo detersivo mi sta facendo venire il mal di testa."
Mi aiutò a stendermi sul divano appena fummo in casa, mi portò un asciugamano, insolitamente gentile e premuroso. Fece un paio di telefonate delle quali non compresi nulla, e si voltò a guardarmi mentre cercavo di asciugarmi. Mi venne vicino senza dirmi una parola, si mise sopra di me e mi guardò severamente.
Ero confusa. Mi era saltato addosso o voleva solo sgridarmi?
Ancora in silenzio e sotto il mio sguardo dubbioso, si tirò via la maglietta lasciandomi imbambolata.
"Castiel..."
"Sì, lo so, dovrei preoccuparmi e prendermi cura di te, ma spiegami come posso resistere davanti a una ragazza tutta bagnata."
Mi spogliò impaziente, come un bambino affamato avrebbe scartato un dolce.
Pensai che fosse davvero un'ottima ricompensa, lasciarmi accarezzare dalle sue mani sublimi dopo le scivolate che avevo preso poco prima, e mentre già pregustavo il momento in cui l'avrebbe fatto, e subivo i suoi baci caldi e violenti, qualcuno suonò alla porta.
"Che facciamo?" chiesi.
"Ignoriamolo."
Scese sul mio seno, sul mio addome, e di nuovo il campanello trillò, insistentemente.
"Castiel, forse dovremmo..."
"Silenzio, se ne andrà."
E invece, non se ne andò. Quella persona cominciò a suonare a ripetizione, e non mostrava alcuna intenzione di arrendersi.
"Dio, odio quando ci interrompono." si lamentò lui, tirandosi su.
Sbuffò, si mise in piedi, e mentre richiudeva i bottoni dei suoi jeans, il campanello continuava a trapanare i nostri timpani.
"Un attimo!" gridò contro la porta.
Mi rimisi in ordine anch'io, e lui andò ad aprire infuriato e a torso nudo, infischiandosene delle buone maniere e di chiunque si trovasse lì fuori.
Sentii quella voce... e d'istinto premetti un palmo sul mio viso.
"Oh, Castiel, cosa ci fai qui a quest'ora? E perché ci avete messo così tanto a rispondere? Mi stavo preoccupando, pensavo che Emily fosse morta!"
"Mamma..." mormorò a denti stretti. "Che cosa vuoi?"
"Niente, passavo di qui per caso, e allora..." spiegò vagamente Mami, spingendo di lato il figlio e introducendosi presuntuosamente in casa. Vidi cosa aveva in mano e trasalii.
Sventolò in aria un paio di mutandine minuscole di tulle arricciato, forse tra le più imbarazzanti del mio guardaroba e mi domandò:
"A proposito, ho trovato queste sulle scale. Sono tue, vero? Oh, ma certo che sono tue, conosco i gusti di mio figlio. Dovete fare più attenzione, santo cielo!" continuò, come se volesse sgridarci entrambi. "Capisco la passione travolgente, ma sulle scale... è così sporco, rischiate di prendere un'infezione!"
Se io avevo raggiunto il limite della mia vergogna, Castiel aveva ampiamente superato quello della sua pazienza. Scuro in volto, tenne la porta aperta e sibilò:
"Mamma... Vattene. Ora."
Mami si guardò intorno spaesata, si finse ingenua, fissò gli occhi sul divano e si mise una mano davanti alla bocca.
"Ho interrotto qualcosa, forse?"
"Sì." rispose lui senza pietà.
"Oh... allora tornerò tra mezz'ora, va bene?"
"No, per niente."
"Tra un'ora? Non vi basta un'ora?"
"Fuori di qui!"
"Va bene, va bene. Quanto sei permaloso."
La situazione mi faceva venire un po' da ridere, ma sapevo che se anche avessi osato sogghignare, Castiel si sarebbe arrabbiato. Ripensai alle parole di Mami, e mi assalì un dubbio.
"Castiel... come fa tua madre a conoscere i tuoi gusti, esattamente?"
"È una storia lunga."
"E non me la racconterai, vero?"
"Non oggi."


venerdì 28 novembre 2014

A Devil in Paris - Devil's Princess

"Vieni, Emily. Non avere paura. So che non ti piace il buio, ma fidati di me. Segui la mia voce."
"Ho paura di inciampare."
"Sono qui, non ti lascerò cadere. Avanti."
Mossi i miei passi incerta, seguendo il suono della voce di Castiel che si faceva sempre più vicina. Sentivo scricchiolare del terriccio sotto i tacchi delle mie scarpe, il profumo dei fiori e il rumore di una fontana. Doveva avermi portato in un giardino.
"Posso togliermi la benda, ora?" gli chiesi scossa da un brivido di freddo.
"Non ancora." mi rispose. Era alle mie spalle. "Prima rispondi a una domanda. Qual era il tuo sogno da bambina?"
Sorrisi. Ne avevo avuti così tanti.
"Quello che mi hai raccontato mentre ti baciavo la schiena, ieri notte." precisò. "Poco prima di addormentarti."
Arrossii.
"Scoprire di essere una principessa?"
Sentii le sue dita tra i miei capelli e poggiò qualcosa sulla mia testa, poi si allontanò.
"Adesso puoi toglierla."
Lo feci immediatamente, e quello che vidi mi lasciò a bocca aperta. Una tavola imbandita solo per noi, alla luce di un lampione, in quel giardino da favola. E lui era... elegantissimo e perfetto, come sempre.
Sembrava davvero uno dei miei sogni, il più bello che potessi immaginare.
"Che cosa... Perché?" balbettai con un filo di voce.
Mi baciò all'improvviso e rimasi senza respiro.
"Buon compleanno."
Non riuscii a trattenere le lacrime. Ero felice, come non lo ero mai stata prima.
"Non... Non c'era bisogno di fare tutto questo. Sarebbe bastata una fetta di torta, e qualche palloncino, e..."
"Sarei stato un pessimo host."
Toccai la coroncina sulla mia testa e sorrisi tra me e me.
"Non è da te."
"Hai ragione. Ma dovevo trovare un modo per farmi perdonare."
"Cosa dovrei perdonarti?"
"Molte cose." mi rispose prendendomi la mano e trascinandomi verso il tavolo. "Quelle notti in cui ti lascio da sola. Quando piangi di gelosia, quando resti sveglia ad aspettarmi, quando non riesco a prendermi cura di te come ti avevo promesso. Tutto questo non era nei miei piani."
Mi fece sedere e prese posto di fronte a me. Non aggiunsi niente e decisi di godermi quella serata.
"Fino a domattina sarò il tuo host, e non permetterò a nessuno di interromperci."
La cena era incantevole, ma io volevo stare tra le sue braccia, non mi bastava averlo vicino. Non mi bastava più. Volevo sentire la sua pelle sulla mia, le sue mani, il suo respiro.
Per qualche motivo, pensai a mia madre. E poi, come se dall'alto qualcuno avesse voluto esaudire il mio desiderio, cominciarono a scendere pesantissime gocce di pioggia, una dopo l'altra, inzuppando la nostra tovaglia bianca, e il mio vestito leggero.
Scoppiai a ridere, mentre Castiel si premette un palmo sulla fronte.
"Dannazione. Avevo controllato le previsioni, non avrebbe dovuto piovere. Detesto questo clima." si lamentò frustrato. Forse era la prima volta che gli capitava un imprevisto del genere.
"Non fa niente." risposi. "È bellissimo lo stesso."
Scacciò indietro i capelli bagnati dalla fronte, si alzò e mi porse la mano.
"Andiamo, prenderai freddo."
Misi le mie dita sulle sue e lo seguii, mi portò fuori, verso il cancello, e nel tragitto i capelli mi caddero pesantemente sulle spalle, bagnati dalla pioggia e gocciolanti. L'acqua fredda sulla schiena scoperta mi stava facendo gelare fin dentro le ossa.
Mi bastò solo un istante per capire, dall'espressione dipinta sul volto di Castiel, che qualcos'altro era andato storto.
"Dove diavolo si è cacciato..?" sibilò. "Non ci credo. Non voglio crederci."
"Cosa c'è?"
"Il nostro autista è sparito. Deve aver pensato bene di lasciarci soli. Lo ucciderò."
Prese freneticamente il cellulare, e nello stesso momento un lampo violento, seguito da un tuono e scrosci di pioggia più intensi, ci fece sobbalzare.
Sbiancò in volto e mi guardò infastidito e irritato.
"Fantastico, non c'è campo."
Risi, così forte da sentire una morsa alla mascella. Lui era arrabbiato, cercava soluzioni che non c'erano, e mi sembrava tutto così buffo.
"Cos'hai da ridere?!" mi sgridò.
"Dovresti vedere la tua faccia..." ridacchiai senza fiato. "Sei sconvolto!"
"Ma tu guarda..."
Sbuffò contrariato, mi cinse le spalle e mi trascinò sotto una tettoia. Le travi di legno erano sottili, sconnesse tra loro, e non ci proteggevano un granché dalla pioggia. Intorno a noi non c'era nessuno che ci offrisse un riparo o almeno un cellulare funzionante e la serata sembrava destinata a finire in malora.
La sua camicia bagnata aderiva perfettamente alle sue spalle, mostrando i suoi muscoli scossi dal freddo.
I nostri sguardi si incrociarono. Io, decisa a cogliere l'ironia della situazione, e lui, deluso come un direttore d'orchestra a cui era stato negato il palco.
Prima ancora che potessimo dirci qualcosa, le nostre labbra si erano già incontrate. I suoi baci intensi e impetuosi mi fecero dimenticare persino del temporale. Misi le mani sotto la sua camicia, gli accarezzai la schiena, e lui tirò il fiocco che teneva il mio vestito chiuso.
Sentivo le gocce di pioggia gelide sulla pelle, insieme alla sua lingua e al suo respiro scottante.
"Quando ci sei di mezzo tu, la situazione mi sfugge sempre di mano." sussurrò sul mio collo. Fece per sollevarsi, ma lo trattenni tenendo saldamente il suo colletto.
"Non fermarti."
"Emily... qui, sotto la pioggia?"
Annuii con decisione e mossi le mani sul suo addome, aprendo i bottoni della camicia ormai del tutto bagnata.
Sospirò e mi spinse verso una delle travi che sorreggevano la tettoia.
"Va bene."
Le schegge di legno mi pungevano, ma ben presto le ignorai.
Le sue mani mi scaldavano, scorrevano lungo il mio corpo, tra i miei capelli, mi stringevano i fianchi e lui si muoveva dentro di me come se non ne avesse mai abbastanza di farmi sussultare.
Il temporale fitto ovattava i miei gemiti e i lampi illuminavano i nostri corpi persi nel buio.
I miei sentimenti traboccavano insieme al piacere che lui mi dava. Non potevo più metterli a tacere.
"Castiel, io..."
Un tuono inghiottì nel suo fragore il mio "ti amo", facendolo perdere per sempre. Sospirai per il mio coraggio andato sprecato nel nulla, e lui mi chiese:
"Hai detto qualcosa?"
"No."
Sogghignò in quel suo modo irresistibile.
"Allora fingerò di non aver sentito."

domenica 16 novembre 2014

A Devil in Paris - Devil's Lesson n.1

Onestamente, non avevo idea di cosa Castiel insegnasse ai suoi allievi. In che cosa consistevano le sue lezioni? Sorridere per finta senza farlo notare? Lanciare sguardi seducenti a chiunque, fare complimenti velati? Comportarsi come se la freccia di Cupido avesse trafitto il loro cuore per sempre?
Quando gli confessai che proprio non riuscivo ad immaginarlo come insegnante, rise e disse che mi avrebbe dato una dimostrazione pratica.
"Insegnante non è la parola giusta." precisò. "Mi definirei piuttosto un... addestratore."
Mi cinse dalle spalle e sentii il suo respiro sul mio collo. Mi provocò dei brividi dietro la nuca e lungo la schiena. Il suo braccio mi teneva stretta sotto il seno, e con l'altra mano accarezzava i miei fianchi lentamente. Conosceva ogni angolo sensibile del mio corpo e sapeva esattamente come toccarlo per farmi mancare il fiato.
"Gli insegno a lasciare le ragazze a bocca aperta, e poi..."
Fece scivolare dolcemente la sua mano sottile nei miei jeans, e ansimai.
"A conquistarle con ogni gesto, finché non sapranno più farne a meno."
Mi baciò, cercò la mia lingua con la sua e cominciò a stuzzicarmi con la punta delle dita. Lo faceva in  un modo tremendo e crudele, fermandosi sempre un attimo prima che raggiungessi il piacere.
"Gli insegni anche... ad abbandonarle quando meno se lo aspettano, come farai con me?"
Fermò la sua mano improvvisamente e mi sollevò il viso per potermi guardare negli occhi.
"Cosa stai dicendo?"
"Non lo farai?"
Mi rispose nascondendo il volto tra il mio collo e la mia spalla. Sentivo ancora le sue dita ferme, e fremevo perché continuasse.
"Sei la cosa più dolce che mi sia mai capitata." sussurrò in maniera impercettibile. "Sono troppo egoista per rinunciare a te, Emily."
Chiusi gli occhi e gli sorrisi. A volte avevo ancora paura che mi mentisse, ma quando mi diceva quelle parole, la sua voce era insolitamente profonda e malinconica. Non avevo la forza di dubitare di lui.
Sbottonai i miei jeans per facilitargli i movimenti, e accompagnai la sua mano con la mia. Castiel non si accontentava di farmi gemere, lui voleva stare dentro di me, furiosamente, scuotermi fino in fondo, svuotare la mia mente per invaderla solo con la sua presenza. E ci riusciva.
Poggiai le mani contro la parete fredda e liscia che mi stava di fronte, e attesi che mi facesse sua. Mise una mano tra la parete e la mia testa e compresi quel gesto solo quando prese a spingere il suo corpo contro il mio. Se non ci fosse stata la sua mano, ad ogni colpo avrei rischiato di urtare il muro. Lo aveva fatto per proteggermi. Per assicurarsi che non mi facessi del male.
"Sei preziosa per me, Emily." mi disse in un sospiro spezzato. "Non immagini neanche quanto."

giovedì 6 novembre 2014

A Devil in Paris - How to make a Devil

Per tutta la durata della mia permanenza a Parigi, la presenza della madre di Castiel fu quasi una cosa abituale per me. Veniva a trovarmi anche per il più ridicolo motivo che le venisse in mente. Me la ritrovavo dietro la porta quando comprava qualcosa di nuovo e voleva farmi vedere quanto le stesse bene, o farsi convincere che non le stesse male. Quando provava un gusto particolare di gelato, per dirmi che dovevo assolutamente assaggiarlo. Quando suo figlio non le rivolgeva abbastanza attenzioni, per lamentarsi di quanto si sentisse frustrata.
E parlava così tanto. Davvero, tanto. Non mi dava il tempo di rispondere alle sue domande, perché ipotizzava ad alta voce le mie risposte. E le sue domande diventavano ogni giorno più imbarazzanti per me.
"Riesci a soddisfare mio figlio con quel corpicino gracile? Be', forse sarai più semplice da maneggiare. Solo, mi domandavo... sei così piccola, le posizioni non saranno un po' limitate? Be', forse conoscerai altri modi per farlo divertire. Dio, la monotonia sotto le lenzuola è terribile."
Imparai a non arrossire più. L'unico modo per impedirle chiedermi dettagli sulla mia vita sessuale era farla parlare a lungo, tanto a lungo da stancarla. E c'erano due argomenti sui quali Mami aveva sempre molto da dire: Castiel e suo padre.
"Come ha conosciuto Gabriel December?" le domandai per salvarmi, una volta.
Il suo sguardo divenne immensamente triste.
"Gabriel..." mormorò assorta, "Non avrei mai sognato di incontrarlo. Ero solo una ragazzina, forse più giovane di te. Mi sembrò... il sole. Mi trattava così bene, e non avevo mai visto un vero giornalista in vita mia. Venne nel locale in cui lavoravo insieme al suo cameraman, mi puntò gli occhi addosso e mi diede un sacco di soldi prima ancora che mi levassi la maglietta. E poi cominciò con i complimenti, e mi chiese cosa ci facessi lì, e... tutte le solite cose che gli uomini fanno per portarsi le ragazze stupide a letto."
Sorrisi ironicamente tra me e me. Trattarmi bene? Ricoprirmi di complimenti? Castiel non lo aveva mai fatto, eppure ero finita nel suo letto lo stesso. Forse non ero stupida, pensai, ero una completa idiota.
"Mi promise che mi avrebbe portata via." continuò a raccontare Mami. "E io ci cascai con tutte le scarpe. Mi offrì la cena in un ristorante. Io non ci ero mai entrata in un ristorante vero, capisci? Ero convinta che mi amasse... e sono rimasta incinta." sbuffò nervosamente e aggiunse, "Mi chiese di abortire. Lo mandai a farsi fottere in quel momento. Decisi di tenere il bambino perché volevo un pezzo di lui con me, per sempre. E in cambio, lui mi abbandonò senza neanche avvertirmi."
La sua storia mi trascinò al punto che le chiesi di andare avanti.
"Poi, quando è nato il mio Castiel, l'ho cercato. Volevo che desse il suo cognome a suo figlio e infondo speravo che ci saremmo sposati, e saremmo stati felici, e... le solite cose che le ragazze stupide pensano, quando vengono ingannate da qualcuno. Non so come, ma riuscii a convincerlo. Forse gli facevo solo pena. Ma comunque, Gabriel se ne andò lo stesso, fece richiesta per l'affidamento di suo figlio qualche tempo dopo e il tribunale glielo concesse senza alcuna obiezione."
Fu quella volta che capii che, a parte gli occhi e la faccia tosta, Castiel non aveva ereditato nulla dal padre. Era strano, eccentrico, presuntuoso, ma lo conoscevo abbastanza bene da sapere che non era cattivo. Almeno non con me. Non avrebbe mai fatto nulla di così terribile nei miei confronti, ne ero certa.
"Castiel non è così." mi sfuggì inavvertitamente.
"Lo so." mi rispose Mami. "Se non stai ancora affogando la depressione nell'alcol è perché mio figlio è un uomo migliore di suo padre. È intelligente, responsabile, generoso... e dannatamente bellissimo."
Mi alzai per scacciare una lacrima di commozione che minacciava di rivelare alla terribile Mami tutta la mia debolezza e andai ad aprire la finestra. Dovetti sembrarle impazzita, perché stava diluviando.
"Che bel temporale!" esclamò lei stirando le braccia.
Io guardai i nuvoloni grigi e minacciosi, pensando a quando lui sarebbe finalmente tornato a casa.
"Già... È davvero bellissimo."

mercoledì 29 ottobre 2014

Racconto di Halloween - Miss Jackson

"Raccontaci una storia di fantasmi!" squittì una ragazza, sporgendosi verso di lui e facendo oscillare le fiamme di alcune candele con il proprio movimento.
"Sì, facci spaventare!" incalzò l'altra.
Castiel sospirò. Non gli piaceva molto raccontare storie, e non amava in particolare quelle di fantasmi, ma dopotutto era la notte di Halloween, e le sue clienti erano così entusiaste e chiassose. Almeno, se si fossero messe buone ad ascoltarlo, avrebbero fatto silenzio.
"Non conosco storie di fantasmi." rispose galantemente. "Ma ne ho letta una interessante in un libro, una volta."
"Va bene lo stesso!" acconsentì la terza cliente, seduta di fronte a lui. "Adoro la tua voce, ti ascolterei per ore."
"Grazie." alzò lo sguardo verso il tavolo di fronte, dove Emily stava ripulendo le tracce lasciate dall'ultimo appuntamento di Noah, e la chiamò con un cenno. "Emily, vieni qui per favore."
Lei ubbidì immediatamente, si avvicinò e chiese:
"Sì?"
"Siediti insieme a noi. Vi racconterò la storia di Miss Jackson." accavallò le gambe, poggiò una mano sul ginocchio e cominciò a parlare con calma, mentre le sue clienti, un po' indispettite dalla presenza di Emily, aspettavano ansiosamente.
"Nella seconda metà del diciannovesimo secolo, Lord Farey e Mr. Shawn premeditavano una tremenda vendetta nel laboratorio segreto del primo. C'era una vedova che Lord Farey voleva morta ad ogni costo. Lui gli si era proposto molte volte, come secondo marito o come amante, ma lei lo aveva sempre rifiutato, infliggendogli ogni volta una nuova ferita nell'orgoglio e nel cuore.
 Mr. Shawn, ovviamente, non aveva alcun legame con questa storia. La sua unica sfortuna era quella di essere amico di Lord Farey, e incapace di rifiutare la sua richiesta di aiuto.
Dunque, i due confabulavano di commettere questo omicidio, ma avevano intenzione di renderlo un delitto perfetto. Innanzitutto, nessuno di loro voleva sporcarsi le mani, per cui decisero che avrebbero indotto qualcun altro a macchiarsi di tale peccato. La seconda cosa che stabilirono fu che si sarebbe trattato di una donna, in quanto sarebbe stato molto più semplice farla avvicinare alla vittima. Infine, per fare in modo che il delitto fosse veramente perfetto, avevano bisogno di qualcuno impossibile da identificare, un colpevole che agisse nell'ombra più totale. E chi avrebbe potuto fare al caso loro, meglio di una persona deceduta? Una donna morta non poteva essere accusata di nulla, né rintracciata. Qualsiasi prova contro di essa sarebbe stata totalmente futile: come poteva una donna morta risorgere dalla tomba per uccidere qualcuno?"
Emily ridacchiò e si spostò una ciocca di capelli:
"Quindi, i due decisero di evocare un fantasma, Castiel? Non mi aspettavo una storia tanto banale da te."
"Infatti, avevi detto che non conoscevi storie di fantasmi, Castiel!" si unì una cliente.
Lui annuì e riprese a raccontare:
"Lord Farey e Mr. Shawn non evocarono alcun fantasma, mia cara. All'inizio della storia, ho detto che i due amici si trovavano in un laboratorio segreto. Lord Farey era in possesso di un esotico macchinario in grado di ridare vita a qualcuno che fosse morto da non molto tempo, e che fosse tutto intero, ovviamente. Non chiedetemi quali principi ci fossero dietro a questa diavoleria, perché nessuno ne era a conoscenza.
Dunque, una sera, i due si recarono al cimitero, alla ricerca di ciò che cercavano. Camminando tra le file di croci e lapidi, trovarono la tomba di Miss Jackson. Il ritratto inciso rivelava una ragazza bellissima, giovane e dai lunghi boccoli scuri, come quelli di Emily. Il terreno sotto il quale la fanciulla riposava era ancora morbido, segno che la sua triste morte era avvenuta da poco. Armati degli strumenti necessari, cominciarono a scavare, fecero emergere la bara, la forzarono e si trovarono di fronte alla ragazza. Era ancora più bella di quanto credessero.
Lord Farey chiese all'amico di prendere la ragazza in braccio per trasportarla al laboratorio, e Mr. Shawn ubbidì. Era fredda come il ghiaccio, ma la sua pelle era ancora morbida e liscia come la porcellana. Sembrava quasi che dormisse.
Nel laboratorio, legarono Miss Jackson con delle cinghie su un lettino e azionarono il macchinario. Poco dopo, sotto gli occhi increduli di entrambi, la giovane prese a tremare, poi a dimenarsi, bloccata dai legacci che la tenevano ferma, e infine spalancò i suoi grandi occhi.
Mr. Shawn corse a liberarla, mentre Lord Farey osservò meravigliato il risultato della sua opera. Ben presto, però, si resero conto che Miss Jackson era totalmente priva di memoria. Non conosceva nessuno, non ricordava le strade della città, non riconosceva alcuni oggetti. Tutto sommato, era meglio così, conclusero i due. Morta e senza ricordi: impossibile da trovare persino per il migliore degli ispettori e facile da plagiare.
Lord Farey istruì per bene la ragazza. Le mostrò come usare un pugnale per uccidere una persona e le fece vedere molte volte la sfortunata vittima delle sue congiure, in modo che la riconoscesse anche in mezzo alla folla.
Mr. Shawn, invece, si occupò di rieducare la dolce Miss Jackson, così che sarebbe riuscita a mescolarsi tra la gente come una signorina comune. Le insegnò le buone maniere, fecero insieme lunghe passeggiate e lesse per lei molti libri. Era inevitabile che finisse per innamorarsi di lei."
Emily ridacchiò di nuovo, ma infondo, quel racconto la intrigava.
"Che cos'è, una grottesca commedia romantica?"
Castiel sospirò.
"Non interrompermi, Emily.
Essendosi innamorato di lei, Mr. Shawn propose un piano alla ragazza: dopo aver realizzato la vendetta dell'amico, si sarebbero incontrati al cimitero, alla tomba di Miss Jackson, e sarebbero fuggiti insieme.
Arrivò il giorno in cui il delitto doveva essere compiuto. Di sera, con il pugnale nascosto nel corsetto, Miss Jackson si avviò sulle tracce della donna che tanto aveva fatto soffrire Lord Farey. La vide nel giardino della sua villa, insieme ai suoi bambini. Ridevano, e giocavano insieme. Teneva tra le braccia uno dei piccoli.
Miss Jackson esitò, si ribellò ai suoi ordini, lasciò cadere a terra il pugnale e corse via, diretta al cimitero, per incontrare Mr. Shawn e fuggire.
Purtroppo, però, Lord Farey scoprì l'accaduto e si infuriò. Recuperò la propria arma brutalmente gettata via dalla giovane risorta e la pedinò, intenzionato a toglierle la vita che le aveva ridato con lo stesso pugnale. Arrivato sul luogo dell'incontro apprese che persino il suo migliore amico, Mr. Shawn, aveva cospirato alle sue spalle.
Si avventò ferocemente sulla ragazza, ma l'amico lo contrastò, e al prezzo di una ferita, riuscì a salvarla.
Accecato dalla rabbia, Lord Farey abbandonò il pugnale per lanciarsi su Mr. Shawn e colpirlo a mani nude in pieno viso.
Di fronte a quello scempio, Miss Jackson cominciò a riflettere: se era tornata alla vita solo per uccidere una donna innocente, solo per mettere due amici l'uno contro l'altro, allora avrebbe preferito piuttosto restare morta. Quindi prese l'affilato pugnale abbandonato da Farey, se lo puntò dritto al cuore e... i due uomini, incapaci di reagire, la videro cadere e tornare alla morte, sulla sua stessa tomba."
Finito il racconto, Castiel guardò le sue clienti allibite, che, con la bocca schiusa, ancora pendevano dalle sue labbra.
"Che finale triste." commentò una delle ragazze. "Perché Miss Jackson avrebbe dovuto fare una cosa del genere?"
"Forse perché non voleva più lasciarsi usare." intervenne Emily, alzandosi per tornare al proprio lavoro. "È una bella storia, Castiel. Grazie di avermela raccontata."

sabato 25 ottobre 2014

A Devil in Paris - Lovely Hell

Una volta stavo per dirglielo.
Stavo per commettere l'errore più grande, e ho rischiato di perderlo.
Mi teneva stretta tra le sue braccia, alle mie spalle. Mi accarezzava lentamente, faceva scorrere le sue dita fredde sulla mia pelle, al buio della nostra stanza. Si divertiva a stuzzicarmi, a farmi ansimare e a tenermi ferma, finché, stanca dell'attesa, finivo per implorarlo a darmi di più.
Quella sera, forse perché era da molto tempo che non passavamo la notte insieme, fu di una dolcezza indimenticabile. Trascinata in una lunga agonia, tra gli spasmi e i suoi baci febbrili, il suo profumo, e guardando quegli occhi famelici, schiusi le labbra e pronunciai il suo nome con voce tremante.
"Castiel, io..."
Lui lo intuì, in qualche modo. Mise una mano sulla mia bocca per farmi tacere e rispose soltanto:
"No."
Lo guardai intensamente. Cercai di dirglielo con gli occhi, ma aveva già capito, e non c'era alcun bisogno di fare altro.
"Non dirlo." mi intimò in un sussurro. "Odio quella frase. La odio con tutto me stesso."
Poi, come a voler spezzare l'incanto in cui mi aveva annegata, riprese a farmi male, ad affondare dentro di me con più forza. In realtà, in quel modo mi faceva impazzire ancora di più.
Anche se non voleva sentirselo dire, anche se non mi permetteva di dirglielo, non poteva impedire che glielo esprimessi in altri modi, in tutti i modi possibili.
Infondo, non avevo davvero bisogno di parole per farglielo capire.
Anche nel suo inferno, nella sua prigione, in mezzo ai suoi sentimenti contrastanti, non potevo fare a meno di amarlo.

giovedì 23 ottobre 2014

Charming Devil - Book Trailer

Nessuno di noi è un professionista, qui.
Facciamo del nostro meglio.
L'illustratore di Charming Devil è un ragazzo di 17 anni, autodidatta.
La persona che ha realizzato il mio logo è poco meno giovane, e non ha chiesto compensi.
Chi ha messo insieme il video di seguito, non lo fa certo per mestiere. È solo qualcuno che ha più pazienza di me con queste cose, tutto qui.
Io? Non smetterò mai di imparare a scrivere. Ogni giorno sono soddisfatta dei miei progressi.

È con questo spirito che vi presento il Book Trailer di Charming Devil.
Ringrazio i miei lettori.







venerdì 17 ottobre 2014

A Devil in Paris - A Devil's Child

Stando da sola, avevo molto tempo per pensare. Quelle rare volte in cui uscivo non parlavo con nessuno, perché non riuscivo a capire una sola parola di ciò che sentivo. Castiel aveva provato a insegnarmi alcune frasi in francese, ma ero davvero negata.
E così, sola con me stessa, pensavo a tante cose. Fantasticavo, sognavo che un giorno lui tornasse a casa con una rosa tra le mani e mi dichiarasse il suo amore. Che cosa assurda, patetica e impossibile.
Castiel comprava la libertà degli altri, in modo subdolo incatenava a sé le persone che desiderava, ma lui rimaneva inafferrabile, sovrastante e libero, come un re.
Eppure c'era una sola cosa che riusciva a fargli chinare la testa, un solo nome, un ricordo, un pensiero fisso. Hannah.
Una mattina, davanti allo specchio, si osservò con una sorta di inquietudine. Gli passai davanti, e lui mi fece una domanda strana, ma in qualche modo ricca di dolore.
"Emily, tu... vorresti avere un figlio da me?"
Sarebbe stato facile cascarci, credere che stesse pensando davvero a un futuro insieme, ma ormai lo conoscevo bene. Castiel non intendeva illudermi. In realtà, stava solo ripensando a lei, a Hannah. La sua indimenticabile Hannah.
"No." gli risposi freddamente.
Era una bugia talmente evidente, che non mi sforzai di aggiungere altro. Qualunque cosa che avrebbe potuto legarmi a Castiel per sempre, era ciò che desideravo.
"Sarei un pessimo padre, non è vero?"
"No, al contrario. Con la tua gelosia e la mania di controllo saresti un padre perfetto." obiettai. "Saresti presente in ogni momento, protettivo e responsabile. Però, non potrei mai donare una cosa tanto preziosa a qualcuno che..." esitai. Ciò che stavo per dire faceva male soprattutto a me, e rendeva reale la mia paura più grande. "A qualcuno che mi abbandonerebbe."
Non so di preciso quale fosse stato il motivo, ma le mie parole lo infastidirono profondamente. Si voltò di scatto, strinse il mio mento tra le sue dita e mi impedì di distogliere lo sguardo. In quei momenti, dimenticava di moderare la propria forza, e mi faceva un po' male.
"Vorresti dire che con qualcun altro lo faresti?" sibilò nelle mie orecchie.
"No. Non in questo momento."
"Bene. Perché nella tua testa voglio restare solo, chiaro?" mi intimò, strattonandomi leggermente il viso.
"Chiaro."
"Brava bambina."
Gli sorrisi. Chi altro avrebbe mai potuto prendere il posto di quel diavolo, dentro di me?

sabato 11 ottobre 2014

A Devil in Paris - Devil May Cry

Castiel cercava di prendersi cura di me al meglio che poteva, ma quel corso gli portava via un sacco di tempo. Non si trattava solo delle lezioni che dava ai futuri host, ma anche di appuntamenti e cene insieme ai responsabili del progetto. L'agenzia per la quale lavorava era composta per la maggior parte da donne, ed era inevitabile che lui ci avesse a che fare.
Quando riusciva a passare del tempo con me, mi chiedeva cosa avessi intenzione di fare e mi accontentava proprio come avrebbe fatto un padre con una bambina. Sembrava quasi il suo modo di farsi perdonare.
La maggior parte delle sere, però, era impegnato a soddisfare le altre. Non mi raccontava nulla, usciva senza accennare alla sua compagnia e tornava tardi. Molto tardi.
Io mi addormentavo solo quando lo sentivo rientrare, quando si sdraiava stancamente accanto a me. Non conoscevo i nomi, né i volti delle donne che frequentava, ma avevo imparato a distinguerle tra loro, e gli avevo affidato dei nomignoli. Ad esempio, quando Castiel usciva con B., i suoi vestiti restavano impregnati di un profumo femminile aggressivo e pungente. Se tornava da un appuntamento con R., gli trovavo addosso macchie di rossetto rosso sangue.
Quella che odiavo di più era N., perché sembrava consumarlo fino all'anima. Lo lasciava stanco, esausto e stressato, e lo teneva con sé fino a notte fonda, a volte fino al mattino.
Ero gelosa, ero gelosa da morire. Mi sforzavo di non pensarci, ma la mia mente vagava da sola a immaginare cosa quelle donne facessero con lui, e alcune notti piangevo a dirotto, mi chiudevo in bagno, abbracciavo la sua giacca, poi rimettevo tutto a posto e andavo a dormire.
Una sera, lui tornò a casa prima del previsto. Non lo sentii arrivare. Mentre piangevo, appoggiata con la schiena sulle piastrelle gelide, lui bussò alla porta del bagno, e mi chiamò delicatamente.
Sobbalzai. Non sapevo da quanto tempo fosse lì, ma ero certa che mi avesse sentito frignare e mugolare, perché lo facevo sempre ad alta voce. Cercai di rimettermi in sesto e uscii fingendomi disinvolta, ma lui mi sollevò il viso, vide i miei occhi gonfi e sconvolti, e sospirò pesantemente.
Mi guardò negli occhi. Sembrava dispiaciuto, ferito, frustrato.
"Scusami." mormorò.
Mi abbracciò e mi tenne stretta. Il tessuto del suo cappotto mi pungeva, anche attraverso la mia camicia da notte sottile.
"Mi dispiace." mi disse ancora, con la voce rauca.
"Non è colpa tua. Dovrei smetterla di pensarci, dopotutto me lo hai sempre detto..."
"Emily."
"Mi hai sempre detto che non abbiamo quel tipo di relazione, ma non riesco ancora ad abituarmi."
"Non devi essere gelosa di me."
"Lo so, lo so. Non sono l'unica, e non lo sarò mai."
Mi accarezzò i capelli e mi sussurrò qualcosa che mi provocò un brivido dietro la schiena:
"Però sei l'unica che mi fa stare bene. Delle altre non m'importa niente."

venerdì 10 ottobre 2014

A Devil in Paris - Devil's pet

A volte, Castiel rincasava molto tardi e rimanevo da sola tutto il giorno. Ci eravamo stabiliti in un appartamento piuttosto ampio, in centro.
In quelle occasioni, Mami veniva a farmi visita, con l'intento di lenire più la sua solitudine che la mia. Si piantava sul nostro divano per ore, e parlava come una vera donna frustrata. La maggior parte delle volte mi raccontava di suo figlio. Ne era completamente assuefatta e innamorata, quasi come le sue clienti dell'host club.
"È molto bello, vero?" mi ripeteva in continuazione. "Bello, intelligente, e bastardo come suo padre. Avrei voluto vederlo più spesso da bambino, ma Gabriel lo ha tenuto tutto per sé."
A volte chinavo la testa e restavo in silenzio. Non sapevo proprio come risponderle.
"Anche le mie ragazze lo adorano. Tu come hai fatto ad incontrarlo? Non sei come quelle che si porta a letto di solito."
"Io... lavoravo al Charming Devil." risposi con le guance in fiamme.
"Oh. Castiel non mi ha mai parlato di te nelle sue lettere, eppure mi racconta sempre ogni cosa. Ultimamente, mi ha persino parlato di un certo gattino che si è intrufolato nel locale."
Strinsi i denti.
"Un gattino?"
"Sì, una gattina randagia. Di notte se la ritrovava in casa, e aveva preso l'abitudine di dormire nel suo letto. Alla fine l'ha adottata e l'ha chiamata Emily, come te."
Da una parte avrei voluto ridere, ma decisi di non commentare, e attendere che Castiel tornasse per chiedergli spiegazioni.
Le offrii dell'altro tè per cambiare argomento, ma Cassandra insisté:
"Sono preoccupata. Castiel è allergico al pelo dei gatti. Dovrei convincerlo a sbarazzarsene il prima possibile."
"Suo figlio non le ha detto la verità." sbottai irritata. "In realtà, è stato lui stesso a portare a casa quel... gatto. Ed anche quando cercava di scappare, glielo impediva."
"Davvero? Non gli sono mai piaciuti gli animali."
"Ah, secondo me, invece, quella gattina gli piace molto. Le ha persino comprato un collare con il suo nome inciso. Simile al mio ciondolo, vede?"
Mami mi scrutò con un'aria inquisitoria e gelida degna di suo figlio. Scosse la testa lentamente e mi disse:
"Sì, a lui piace scrivere il proprio nome sulle cose che gli appartengono. Da piccolo, lo faceva sempre."


martedì 7 ottobre 2014

Un messaggio da I. M. Another: A Devil in Paris

Desidero ringraziare chiunque abbia letto il mio romanzo, o anche solo qualche riga di esso.

Il seguito di Charming Devil è attualmente in lavorazione e, per quanto mi stia dedicando totalmente ad esso, è inevitabile che richieda una buona quantità di tempo. È in corso anche la traduzione inglese del romanzo, e ciò non velocizza i tempi.

Per ovviare all'attesa, ho quindi deciso di scrivere questa mini-serie, intitolata A Devil in Paris. La serie sarà pubblicata solo sul blog, in piccoli capitoli, narrati da Emily in prima persona, come una sorta di diario.

Gli eventi di  A Devil in Paris prendono luogo poco dopo la fine di Charming Devil e prima del suo seguito. In questo modo, sarà possibile tenere traccia della storia.
Non ho ancora deciso se questi capitoli verranno in seguito raccolti in un e-book, ma lo ritengo improbabile.

 A Devil in Paris non interromperà quelli che sono gli altri post che ogni tanto compariranno sul blog.

Ho creato una pagina Facebook di Charming Devil, e cercherò di farmi presente, anche se non sono un tipo da social network.
A presto, quindi.
I.M.




sabato 4 ottobre 2014

A Devil in Paris - Devil's Mami

"Il suo nome è Cassandra, ma tutti la chiamano Mami."
Questa fu l'unica informazione che Castiel decise di darmi.
"Cassandra e Gabriel... Castiel." dedussi ingenuamente. "Doveva essere molto innamorata. E anche romantica."
"Ti prego, non dire nulla di simile davanti a lei." mi fermò Castiel prontamente. "Odia mio padre, e odia la mia faccia perché è identica alla sua."
"Deve aver sofferto molto."
"Emily, ti stai facendo un'idea sbagliata. Non pensare a lei come a una dolce donna di mezz'età che prepara biscotti e tè... Perché è l'esatto opposto."
Scossi la testa, e lui trovò un modo piuttosto singolare di spiegarmi cosa dovevo aspettarmi da Mami.
"Dunque, se io avessi una ventina d'anni in più, e fossi una donna, come mi immagineresti?"
Deglutii e sospirai.
"Oh, mio Dio." mi lasciai sfuggire.
Lui ridacchiò e affermò:
"Esatto. Quella è Mami."
In realtà, neanche quella descrizione riuscì a prepararmi del tutto.
Quando Cassandra venne ad aprirci alla porta, mi ritrovai davanti ad una donna che sembrava fatta di silicone. Gli interventi di chirurgia plastica erano visibili in ogni parte del suo corpo: le labbra, gli zigomi, le palpebre, il seno, i fianchi. Aveva un trucco pesantissimo, una lunga coda di cavallo color platino e degli occhi come il ghiaccio. Le sue unghie erano lunghe e affilate, laccate di rosso, e le rughe sulle mani tradivano la sua vera età. La sua voce, poi, mi fece trasalire: era autoritaria e tonante.
Salutò suo figlio dandogli un bacio per guancia e subito dopo gli afferrò il viso con la mano, scrutandolo disgustata. Mi sembrò una scena orribile.
"Guarda come stai diventando." commentò nauseata. "Questa faccia... questa faccia è la copia sputata della sua."
"Non posso farci niente." le rispose Castiel ironico. 
"Lo so."
Accennò a me come se fossi stata un insetto. Un insetto che si era intrufolato in casa sua.
"E questa chi sarebbe?"
"Una mia collaboratrice."
Mami si voltò, mimò in modo crudele la smorfia del figlio e ribatté:
"Una che ti porti a letto."
"Esatto."
Per l'imbarazzo, credetti di sprofondare sotto terra. Non sapevo che tipo di rapporto ci fosse tra loro due, ma quel modo così diretto di dirlo mi lasciò allibita. Cassandra, da parte sua, non mostrò il minimo stupore. Mi guardò ancora con la coda dell'occhio e commentò:
"È piccola."
In effetti, nonostante indossassi un paio di scarpe col tacco, arrivavo a malapena alla spalla di Castiel, e poco più in basso a lei. L'altezza doveva essere una caratteristica di famiglia.
Eppure, fraintesi. Non era quello che Mami intendeva dire. Pestò la moquette con i suoi stivali pesanti, ci fece strada in casa e riprese:
"Anche tu con questo vizio delle ragazzine. Ce li ha diciotto anni?"
Non capivo perché parlasse come se io non fossi presente. Non le interessavo minimamente.
Cominciò a parlare in francese con Castiel, lui le rispondeva ridacchiando, e avevo la netta sensazione che mi stessero prendendo in giro, anche se non riuscivo a cogliere neppure una parola.
Non saprei dire se Mami fosse una bella donna o meno. Da una parte lo era certamente, ma dall'altra trasmetteva un qualcosa di negativo, di sporco e indecente. Non sembrava una mamma, neanche un po'. O perlomeno, non assomigliava affatto alla mia.

venerdì 3 ottobre 2014

A Devil in Paris - Diario di Emily

Quando siamo arrivati a Parigi, Castiel non era affatto entusiasta. Mentre il nostro aereo atterrava, lui stava sonnecchiando annoiato dalle ore di viaggio.
Siamo scesi, e non appena ho poggiato i piedi a terra, ho avvertito una stranissima sensazione di vuoto. Intorno a me, tutti parlavano una lingua che non conoscevo, non capivo cosa era scritto sui cartelli, non distinguevo le insegne dei negozi. Avevo una paura tremenda di perdermi. Davanti a noi, c'era un uomo con la sua bambina. Vidi la piccola spaventata e spaesata, proprio come lo ero io, aggrapparsi al braccio del padre e stringerlo forte. Istintivamente, feci la stessa cosa. Castiel non aveva l'aria dolce e paziente di quell'uomo, era svogliato e sbadigliava, ma mi trasmetteva sicurezza.
Lui sapeva già dove andare, era perfettamente orientato, parlava il francese in un modo tanto naturale che mi chiesi per quanti anni lo avesse studiato. Così, incuriosita, gli domandai:
"Sei già stato qui?"
"Ci vengo più o meno una volta all'anno."
"Oh... Quindi è qui che passi le tue vacanze."
"Non esattamente. Vengo a trovare una persona."
"Chi?"
Mi fissò infastidito per alcuni secondi, poi sogghignò.
"Ah, tanto sarebbe inutile nasconderlo." rispose. "Mia madre."
"Non parli mai di lei." mi sfuggì distrattamente.
Lui rise, mi cinse le spalle e disse:
"Non c'è bisogno che ti parli di lei, tra poco la conoscerai di persona."
Sbiancai in volto. Se solo provavo a immaginare che tipo di donna avesse potuto generare un ragazzo come Castiel, mi venivano in mente figure spaventose, quasi mitologiche. Una strega, un'imperatrice despotica, una di quelle matrigne malvagie delle favole.
Ancora non sapevo che quella persona che mi accingevo a incontrare era molto, molto più terrificante di quello che pensavo. Il suo nome mi fa tutt'ora tremare fin dentro le ossa. Cassandra, o come la chiamano tutti, Mami.

sabato 20 settembre 2014

Bianca Brown intervista il Charming Devil! - Castiel, il proprietario

C.: Bianca, sul serio, quante volte hai intenzione di intervistarmi ancora?
B.:Finché le mie lettrici non saranno soddisfatte. Questa volta, ho raccolto le domande più piccanti che sono arrivate in redazione. Risponderai sinceramente, vero?
C.: Dipende. Non ho molto tempo.

[...]

B.: Bianca Brown, ancora una volta ai tavoli del Charming Devil, per farvi conoscere più intimamente Castiel, il misterioso e seducente titolare. Le domande sono state accuratamente scelte tra quelle pervenute alla redazione di S.A., e il nostro host risponderà senza peli sulla lingua. Dico bene, Castiel?
C.: Tutto quello che vuoi.

B.: Iniziamo a scaldare l'atmosfera. A quanti anni è stata la tua prima volta?
C.: Quattordici.
B.: Piuttosto precoce, si direbbe. Com'è andata?
C.: Non mi ricordo.
B.: Bugiardo!
C.: Diciamo che non è andata nel migliore dei modi. La prima volta è una cosa orribile, non hai idea di come comportarti ed è impossibile rimanerne soddisfatti. Preferisco di gran lunga l'ultima volta. Vuoi che ti racconti quella, Bianca?
B.: No, per carità, o mi farai censurare l'intervista. Cambiamo domanda: qual è il posto più strano dove hai fatto sesso?
C.: Sicura di volerlo sapere?
B.: Ma certo.
C.: Quella volta sotto la tua scrivania, ricordi?
B.: Mio Dio, piantala!
C.: (ride)

[...]

B.: Riprendiamo. Una delle domande che le lettrici ci hanno inviato più spesso è: lo hai mai fatto con più di una donna contemporaneamente?
C.: No.
B.: Oh, andiamo, da te mi aspettavo di più!
C.: Sì, è una mia mancanza, ma non riesco a gestire più di una donna allo stesso momento. E poi, ci sarebbero troppe mani a toccarmi, e io detesto farmi toccare, lo sai.
B.: Già. Come mai? Hai una sorta di fobia per i batteri, o qualcosa del genere?
C.: No, mi da solo fastidio. Le mani delle persone sono troppo calde, mi sento pungere la pelle quando mi sfiorano, ed è terribile.
B.: Sei un uomo piuttosto strano. Andiamo avanti con le domande, dunque, la prossima è...
C.: Mi dispiace, devo andare.
B.: Cosa?! Ma abbiamo appena iniziato!
C.: La mia gattina si è allontanata troppo, devo trovarla prima che si cacci nei guai.
B.: Posizione preferita? Dimmi solo questo, così arriveremo almeno a cinque domande.
C.: Un po' di fantasia, dovresti ricordarlo. Torna a trovarmi un'altra volta, ok?

[...]

B.: Odioso, è semplicemente odioso.

domenica 10 agosto 2014

Confessioni da privè - La prima volta

Quel giorno c'era un caldo asfissiante. Il giorno in cui decisi che sarei diventata una vera donna.
Mi vergognavo di essere vergine. Le mie amiche raccontavano sempre di orgasmi mozzafiato e io restavo muta. Se provavo a inventare delle esperienze simili alle loro, capivano subito che stavo mentendo.
Non volevo finire nelle mani di un ragazzo inesperto, incapace di slacciare un reggiseno, e che mi avrebbe solo disgustata. Noah ci sapeva fare. Sapeva come dare piacere a una donna in modi che neanche immaginavo.
Lui era diverso. Mi faceva sorridere. Ci metteva tutto il suo impegno per farmi sorridere.
Cominciai a frequentare Noah tutte le settimane. Mentivo, dicevo che mi pagavo delle ripetizioni per gli esami di ammissione, e invece spendevo tutti i miei risparmi per passare del tempo con lui al Charming Devil.
Iniziai a guardarlo con occhi diversi. Mi faceva sedere spesso sulle sue ginocchia, mi ascoltava e mi riempiva di complimenti. Non i soliti complimenti. Mi diceva quello che nessuno mi aveva mai detto, e che desideravo sentirmi dire da sempre.
Così, quel giorno, prenotai il mio appuntamento nel privè con lui. Mi presentai truccata da adulta, in un abitino leggero e facile da sfilare. Sotto quella stoffa nascondevo la biancheria più audace che avessi mai indossato.
Noah capì le mie intenzioni. Prima ancora che ordinassimo da bere, mi stava già baciando, e mi accarezzava le cosce, le natiche e i fianchi. La sua barba mi pungeva da morire, ma sopportai, pregando che facesse in fretta con quei preliminari.
Cominciai a muovermi sopra di lui per spingerlo ad andare oltre. Lasciai che il vestito mi scivolasse, per mostrargli un accenno del mio seno.
"Wow. Piano, bimba. Piano." mi disse tenendomi ferme le braccia. Aveva il viso tutto rosso. In un certo senso, era tenero. Probabilmente, non ricordava neanche il mio nome.
Si mise a guardare il mio seno con insistenza, e io tirai giù l'abito, per mostrargli quello che voleva.
"Ehi... dove le hai tenute nascoste per tutto questo tempo?"
Scherzava, cercava di mettermi a mio agio. Di farmi sorridere, anche in quella situazione. Mi spogliò velocemente e senza esitare. Chissà quante altre volte lo aveva fatto. Era così sicuro di sé.
Baciò ripetutamente il mio seno nudo, lo tenne nelle sue mani grandi, ed io pensai che per l'imbarazzo sarei fuggita. Invece era bello, piacevole, eccitante.
Mi fece sdraiare e si mise sopra di me. Lo sentivo pesante, e forte, quasi da non respirare. Scese a baciarmi l'addome, e mi dimenai.
Mi sfilò le mutandine in un solo gesto, e cominciò a toccarmi. Io mi sforzavo di tenere gli occhi aperti per guardarlo, e lui muoveva le dita dentro di me incessantemente. Non avevo mai provato nulla di simile, il piacere era quasi insopportabile. Temevo di impazzire.
A un certo punto, non so bene come, ma si accorse di qualcosa. Si fermò e mi guardò preoccupato.
"Bimba... non dirmi che..."
Scese lungo il mio corpo, e mise la testa tra le mie ginocchia. Sentire il suo respiro dove ero più sensibile per poco non mi fece urlare.
"Ma tu sei vergine." mi disse serio. "No, così non va bene."
Mi sentii morire.
"Non va bene?" gli chiesi.
"La prima volta è una cosa troppo importante per le ragazzine."
"Ma io lo voglio! Io voglio che sia tu!" farneticai nel panico.
"Piccola, io sono un host, non me lo merito. La prima volta devi farlo con qualcuno che ti piace."
"Tu mi piaci."
"Voglio dire, con qualcuno a cui vuoi bene. E soprattutto, che ti voglia bene. Se lo fai con me, te ne pentirai per tutta la vita."
All'improvviso, mi sentii così piccola e insignificante. Scoppiai in lacrime e mi coprii il viso.
"Su, su, non piangere." mi consolò lui, "Sarà per la tua seconda, o terza volta, e tutte quelle che vuoi, ma non questa."
Mi coprì le spalle con la giacca che si era tolto, e mi strinse in un abbraccio. Per tutto il tempo mi accarezzò la testa, asciugò le mie lacrime e mi sorrise con dolcezza e comprensione. Pensai che fosse un uomo davvero fantastico.
Dopo quella volta, non tornai mai più al Charming Devil. Non ebbi neanche il coraggio di passarci di fronte, per paura di incrociare lo sguardo di Noah.
Non ho ancora trovato nessuno a cui donare la mia prima volta, ma sono più che certa che la seconda, la terza, e tante altre ancora, voglio che sia lui ad averle.


Yléne

sabato 2 agosto 2014

Il registro di Ray - L'arrivo di Kim

Quando vidi entrare Kim nella hall per la prima volta, pensai che fosse un ragazzino in cerca di sua madre. Lo accolsi al meglio della mia cortesia, ma lui piantò sgarbatamente le mani sul mio bancone e mi chiese:
"Chi è il capo, qui?"
"Il titolare è impegnato, in questo momento." gli risposi. Avrei voluto buttarlo fuori a calci, ma non mi era permesso. "Può tornare stasera, o aspettare che si liberi."
Kim sbuffò investendomi completamente con l'aroma del suo chewing-gum. Era uno degli individui più maleducati che mi fossero capitati.
"Non ho tempo da perdere, tornerò stasera."
Onestamente, mi chiesi che razza di impegni potesse mai avere un ragazzo della sua età in piena estate.
Lo vidi tornare poco prima che finisse il mio turno.
Fece irruzione proprio mentre parlavo con Castiel, senza neanche salutare, e me lo ritrovai davanti al naso con la stessa espressione sfacciata del pomeriggio.
"Allora, dov'è il titolare?"
Non ebbi il tempo di rispondergli, e nemmeno quello di contare quanti schiaffi si meritava. Castiel intervenne infastidito, e probabilmente pronto a rispedirlo dai genitori.
"Sono io."
"Ah, sei tu?"
Rimasi stupito dal suo modo di affrontarlo spavaldamente. Avevo visto persone di ogni tipo impallidire, indietreggiare, ansimare, o perlomeno esitare davanti a Castiel, soprattutto quando mostrava quello sguardo da rapace.
"In persona. Hai qualcosa da dirmi?"
Conoscendo il mio collega, sapevo che si stava preparando per divorarlo vivo, ma il ragazzino fece qualcosa di totalmente inaspettato. Cambiò repentinamente atteggiamento, divenne dimesso, timido e chinò la testa.
"Voglio diventare un host." affermò.
Castiel rise di gusto, ed io stesso non riuscii a trattenere un sorriso.
"Quanti anni hai?"
"Diciotto." gli rispose schietto.
"Torna quando sarai più grande, ok? Non abbiamo orari adatti agli studenti."
Kim non si arrese. Per qualche assurdo motivo, Castiel non riusciva a incutergli la benché minima soggezione.
"Non sono uno studente."
"E cosa fai nella vita?"
Nel momento in cui sentii la risposta di Kim, ricordo chiaramente la sensazione di disagio che provai, ma ancor di più ricordo la scintilla che si accese negli occhi di Castiel. Non era facile che si animasse tanto.
"Poso come modello per S.A. da due anni."
Il mio collega lo fissò per un paio di secondi, insolitamente muto.
"Sei assunto."
Lasciai perdere il contegno che mi era imposto e manifestai tutto il mio sgomento:
"Castiel! Come... Cosa vuoi dire?!"
"Mi hai sentito Ray, il ragazzino è assunto, perciò provvedi al resto."
"Ma è appena maggiorenne!"
"E allora? Hai idea dei fiumi di ragazzine che attirerà nel nostro locale? S.A. è il mensile per teenager più venduto al momento."
Guardai di nuovo Kim, e sebbene non osassi mettere in dubbio il suo bell'aspetto (fattore di primaria importanza per un host), erano le sue maniere a preoccuparmi.
In ogni caso, gli ordini di Castiel non erano discutibili, perciò fui costretto a procedere.
All'inizio, furono in molte le ragazze che Kim fece fuggire in lacrime dal nostro locale, ma quelle che restavano semplicemente a fissarlo a bocca aperta erano il doppio. Non capivo che senso avesse, ma pur di stare sedute di fronte a lui, le sue ammiratrici erano disposte a pagare l'impensabile.
L'unica cosa di cui potevo lamentarmi erano le minorenni che appannavano le nostre finestre per spiarlo, impossibilitate ad accedere al Charming Devil, e la mia quotidiana fatica per scacciarle evitando di sembrare un tiranno.


Ray

martedì 10 giugno 2014

Osservazioni di Castiel - La divisa

È stata dura scegliere una divisa per Emily. Per giorni ho pensato di prenderle un costume da cameriera sexy. Volevo che lo indossasse e che mi chiamasse "padrone", ma il pensiero che gli altri host avessero fantasie erotiche su di lei mi ha fatto desistere.
Anche se... farmi chiamare "padrone" non mi dispiacerebbe affatto.


Castiel

giovedì 5 giugno 2014

Bianca Brown intervista il Charming Devil! - Ray, il maitre

B.: Lei è pronto, Ray?
R.: La prego, inizi subito, prima che il telefono riprenda a squillare.

B.: D'accordo, allora accendo il registratore. [...]
    Sono Bianca Brown, di ritorno al Charming Devil, questa mattina, per conoscere meglio una delle figure portanti dell'Host Club. Accoglie le clienti e ha un aspetto impeccabile, affidabile e affascinante, ma chi è in realtà Ray?
R.: Signora Brown, la prego. Non sono diverso da un comune impiegato.

B.: Non sia modesto. Sono certa che dietro la sua apparenza seria si nasconda un uomo che... che cosa sta facendo?
R.: Come vede, sto pulendo i miei occhiali.
B.: Lo vedo ma... lo fa sempre in modo così... sexy?
R.: Questo è perché amo i miei occhiali.

B.: B-Be', i-io... uhm. Ha finito?
R.: Chiedo scusa.
B.: Ha mai considerato l'idea di indossare delle lenti a contatto?
R.: Detesto le lenti a contatto.
B.: Come mai le detesta?
R.: Perché sono due, e sono l'una indispensabile all'altra, come una patetica coppia di sposini. Gli occhiali, invece, costituiscono un oggetto unico. Deve sapere che il concetto di coppia mi disturba, Signora Brown.

B.: Ora capisco, lei deve essere un po' come Castiel, dico bene?
R.: Non esattamente. Sarò lieto di continuare il discorso un'altra volta, ma adesso, se vuole scusarmi, il telefono sta squillando.
B.: S-Sì... eh? Ma cosa..? La prego, non lo faccia, sono una donna sposata!
R.: Volevo solo salutarla. Con permesso.

[...]

B.: Oh, mio Dio.

Le Ricette di Finn: Il Kir Royal

Ingredienti:
Crème de Cassis - 10ml.
Champagne - 90ml.


Credo che questo sia il cocktail che preparo più spesso, al Charming Devil, ed è anche il mio preferito, perché non mi fa perdere tempo e ha un prezzo altissimo.
Dunque, da dove posso iniziare... In questo locale ci piace stupire le signore, e non possiamo certo farlo servendo loro delle cose che potrebbero bere anche al bar infondo alla strada.
Per prima cosa, prendo un bel bicchiere da champagne, metto sul fondo tre cubetti di ghiaccio, due more e un lampone. Poi verso la Crème de Cassis lentamente, e infine lo champagne freddo. Tutto qui. Non mi disturbo a mescolarlo, perché mi piace che non abbia un colore uniforme.
Quel viziato di Castiel, invece, lo vuole senza ghiaccio né frutti di bosco, e mescolato. Ogni volta mi costringe a servirgli un bicchiere triste e spoglio... Qui sono tutti matti.


Finn