venerdì 28 novembre 2014

A Devil in Paris - Devil's Princess

"Vieni, Emily. Non avere paura. So che non ti piace il buio, ma fidati di me. Segui la mia voce."
"Ho paura di inciampare."
"Sono qui, non ti lascerò cadere. Avanti."
Mossi i miei passi incerta, seguendo il suono della voce di Castiel che si faceva sempre più vicina. Sentivo scricchiolare del terriccio sotto i tacchi delle mie scarpe, il profumo dei fiori e il rumore di una fontana. Doveva avermi portato in un giardino.
"Posso togliermi la benda, ora?" gli chiesi scossa da un brivido di freddo.
"Non ancora." mi rispose. Era alle mie spalle. "Prima rispondi a una domanda. Qual era il tuo sogno da bambina?"
Sorrisi. Ne avevo avuti così tanti.
"Quello che mi hai raccontato mentre ti baciavo la schiena, ieri notte." precisò. "Poco prima di addormentarti."
Arrossii.
"Scoprire di essere una principessa?"
Sentii le sue dita tra i miei capelli e poggiò qualcosa sulla mia testa, poi si allontanò.
"Adesso puoi toglierla."
Lo feci immediatamente, e quello che vidi mi lasciò a bocca aperta. Una tavola imbandita solo per noi, alla luce di un lampione, in quel giardino da favola. E lui era... elegantissimo e perfetto, come sempre.
Sembrava davvero uno dei miei sogni, il più bello che potessi immaginare.
"Che cosa... Perché?" balbettai con un filo di voce.
Mi baciò all'improvviso e rimasi senza respiro.
"Buon compleanno."
Non riuscii a trattenere le lacrime. Ero felice, come non lo ero mai stata prima.
"Non... Non c'era bisogno di fare tutto questo. Sarebbe bastata una fetta di torta, e qualche palloncino, e..."
"Sarei stato un pessimo host."
Toccai la coroncina sulla mia testa e sorrisi tra me e me.
"Non è da te."
"Hai ragione. Ma dovevo trovare un modo per farmi perdonare."
"Cosa dovrei perdonarti?"
"Molte cose." mi rispose prendendomi la mano e trascinandomi verso il tavolo. "Quelle notti in cui ti lascio da sola. Quando piangi di gelosia, quando resti sveglia ad aspettarmi, quando non riesco a prendermi cura di te come ti avevo promesso. Tutto questo non era nei miei piani."
Mi fece sedere e prese posto di fronte a me. Non aggiunsi niente e decisi di godermi quella serata.
"Fino a domattina sarò il tuo host, e non permetterò a nessuno di interromperci."
La cena era incantevole, ma io volevo stare tra le sue braccia, non mi bastava averlo vicino. Non mi bastava più. Volevo sentire la sua pelle sulla mia, le sue mani, il suo respiro.
Per qualche motivo, pensai a mia madre. E poi, come se dall'alto qualcuno avesse voluto esaudire il mio desiderio, cominciarono a scendere pesantissime gocce di pioggia, una dopo l'altra, inzuppando la nostra tovaglia bianca, e il mio vestito leggero.
Scoppiai a ridere, mentre Castiel si premette un palmo sulla fronte.
"Dannazione. Avevo controllato le previsioni, non avrebbe dovuto piovere. Detesto questo clima." si lamentò frustrato. Forse era la prima volta che gli capitava un imprevisto del genere.
"Non fa niente." risposi. "È bellissimo lo stesso."
Scacciò indietro i capelli bagnati dalla fronte, si alzò e mi porse la mano.
"Andiamo, prenderai freddo."
Misi le mie dita sulle sue e lo seguii, mi portò fuori, verso il cancello, e nel tragitto i capelli mi caddero pesantemente sulle spalle, bagnati dalla pioggia e gocciolanti. L'acqua fredda sulla schiena scoperta mi stava facendo gelare fin dentro le ossa.
Mi bastò solo un istante per capire, dall'espressione dipinta sul volto di Castiel, che qualcos'altro era andato storto.
"Dove diavolo si è cacciato..?" sibilò. "Non ci credo. Non voglio crederci."
"Cosa c'è?"
"Il nostro autista è sparito. Deve aver pensato bene di lasciarci soli. Lo ucciderò."
Prese freneticamente il cellulare, e nello stesso momento un lampo violento, seguito da un tuono e scrosci di pioggia più intensi, ci fece sobbalzare.
Sbiancò in volto e mi guardò infastidito e irritato.
"Fantastico, non c'è campo."
Risi, così forte da sentire una morsa alla mascella. Lui era arrabbiato, cercava soluzioni che non c'erano, e mi sembrava tutto così buffo.
"Cos'hai da ridere?!" mi sgridò.
"Dovresti vedere la tua faccia..." ridacchiai senza fiato. "Sei sconvolto!"
"Ma tu guarda..."
Sbuffò contrariato, mi cinse le spalle e mi trascinò sotto una tettoia. Le travi di legno erano sottili, sconnesse tra loro, e non ci proteggevano un granché dalla pioggia. Intorno a noi non c'era nessuno che ci offrisse un riparo o almeno un cellulare funzionante e la serata sembrava destinata a finire in malora.
La sua camicia bagnata aderiva perfettamente alle sue spalle, mostrando i suoi muscoli scossi dal freddo.
I nostri sguardi si incrociarono. Io, decisa a cogliere l'ironia della situazione, e lui, deluso come un direttore d'orchestra a cui era stato negato il palco.
Prima ancora che potessimo dirci qualcosa, le nostre labbra si erano già incontrate. I suoi baci intensi e impetuosi mi fecero dimenticare persino del temporale. Misi le mani sotto la sua camicia, gli accarezzai la schiena, e lui tirò il fiocco che teneva il mio vestito chiuso.
Sentivo le gocce di pioggia gelide sulla pelle, insieme alla sua lingua e al suo respiro scottante.
"Quando ci sei di mezzo tu, la situazione mi sfugge sempre di mano." sussurrò sul mio collo. Fece per sollevarsi, ma lo trattenni tenendo saldamente il suo colletto.
"Non fermarti."
"Emily... qui, sotto la pioggia?"
Annuii con decisione e mossi le mani sul suo addome, aprendo i bottoni della camicia ormai del tutto bagnata.
Sospirò e mi spinse verso una delle travi che sorreggevano la tettoia.
"Va bene."
Le schegge di legno mi pungevano, ma ben presto le ignorai.
Le sue mani mi scaldavano, scorrevano lungo il mio corpo, tra i miei capelli, mi stringevano i fianchi e lui si muoveva dentro di me come se non ne avesse mai abbastanza di farmi sussultare.
Il temporale fitto ovattava i miei gemiti e i lampi illuminavano i nostri corpi persi nel buio.
I miei sentimenti traboccavano insieme al piacere che lui mi dava. Non potevo più metterli a tacere.
"Castiel, io..."
Un tuono inghiottì nel suo fragore il mio "ti amo", facendolo perdere per sempre. Sospirai per il mio coraggio andato sprecato nel nulla, e lui mi chiese:
"Hai detto qualcosa?"
"No."
Sogghignò in quel suo modo irresistibile.
"Allora fingerò di non aver sentito."

domenica 16 novembre 2014

A Devil in Paris - Devil's Lesson n.1

Onestamente, non avevo idea di cosa Castiel insegnasse ai suoi allievi. In che cosa consistevano le sue lezioni? Sorridere per finta senza farlo notare? Lanciare sguardi seducenti a chiunque, fare complimenti velati? Comportarsi come se la freccia di Cupido avesse trafitto il loro cuore per sempre?
Quando gli confessai che proprio non riuscivo ad immaginarlo come insegnante, rise e disse che mi avrebbe dato una dimostrazione pratica.
"Insegnante non è la parola giusta." precisò. "Mi definirei piuttosto un... addestratore."
Mi cinse dalle spalle e sentii il suo respiro sul mio collo. Mi provocò dei brividi dietro la nuca e lungo la schiena. Il suo braccio mi teneva stretta sotto il seno, e con l'altra mano accarezzava i miei fianchi lentamente. Conosceva ogni angolo sensibile del mio corpo e sapeva esattamente come toccarlo per farmi mancare il fiato.
"Gli insegno a lasciare le ragazze a bocca aperta, e poi..."
Fece scivolare dolcemente la sua mano sottile nei miei jeans, e ansimai.
"A conquistarle con ogni gesto, finché non sapranno più farne a meno."
Mi baciò, cercò la mia lingua con la sua e cominciò a stuzzicarmi con la punta delle dita. Lo faceva in  un modo tremendo e crudele, fermandosi sempre un attimo prima che raggiungessi il piacere.
"Gli insegni anche... ad abbandonarle quando meno se lo aspettano, come farai con me?"
Fermò la sua mano improvvisamente e mi sollevò il viso per potermi guardare negli occhi.
"Cosa stai dicendo?"
"Non lo farai?"
Mi rispose nascondendo il volto tra il mio collo e la mia spalla. Sentivo ancora le sue dita ferme, e fremevo perché continuasse.
"Sei la cosa più dolce che mi sia mai capitata." sussurrò in maniera impercettibile. "Sono troppo egoista per rinunciare a te, Emily."
Chiusi gli occhi e gli sorrisi. A volte avevo ancora paura che mi mentisse, ma quando mi diceva quelle parole, la sua voce era insolitamente profonda e malinconica. Non avevo la forza di dubitare di lui.
Sbottonai i miei jeans per facilitargli i movimenti, e accompagnai la sua mano con la mia. Castiel non si accontentava di farmi gemere, lui voleva stare dentro di me, furiosamente, scuotermi fino in fondo, svuotare la mia mente per invaderla solo con la sua presenza. E ci riusciva.
Poggiai le mani contro la parete fredda e liscia che mi stava di fronte, e attesi che mi facesse sua. Mise una mano tra la parete e la mia testa e compresi quel gesto solo quando prese a spingere il suo corpo contro il mio. Se non ci fosse stata la sua mano, ad ogni colpo avrei rischiato di urtare il muro. Lo aveva fatto per proteggermi. Per assicurarsi che non mi facessi del male.
"Sei preziosa per me, Emily." mi disse in un sospiro spezzato. "Non immagini neanche quanto."

giovedì 6 novembre 2014

A Devil in Paris - How to make a Devil

Per tutta la durata della mia permanenza a Parigi, la presenza della madre di Castiel fu quasi una cosa abituale per me. Veniva a trovarmi anche per il più ridicolo motivo che le venisse in mente. Me la ritrovavo dietro la porta quando comprava qualcosa di nuovo e voleva farmi vedere quanto le stesse bene, o farsi convincere che non le stesse male. Quando provava un gusto particolare di gelato, per dirmi che dovevo assolutamente assaggiarlo. Quando suo figlio non le rivolgeva abbastanza attenzioni, per lamentarsi di quanto si sentisse frustrata.
E parlava così tanto. Davvero, tanto. Non mi dava il tempo di rispondere alle sue domande, perché ipotizzava ad alta voce le mie risposte. E le sue domande diventavano ogni giorno più imbarazzanti per me.
"Riesci a soddisfare mio figlio con quel corpicino gracile? Be', forse sarai più semplice da maneggiare. Solo, mi domandavo... sei così piccola, le posizioni non saranno un po' limitate? Be', forse conoscerai altri modi per farlo divertire. Dio, la monotonia sotto le lenzuola è terribile."
Imparai a non arrossire più. L'unico modo per impedirle chiedermi dettagli sulla mia vita sessuale era farla parlare a lungo, tanto a lungo da stancarla. E c'erano due argomenti sui quali Mami aveva sempre molto da dire: Castiel e suo padre.
"Come ha conosciuto Gabriel December?" le domandai per salvarmi, una volta.
Il suo sguardo divenne immensamente triste.
"Gabriel..." mormorò assorta, "Non avrei mai sognato di incontrarlo. Ero solo una ragazzina, forse più giovane di te. Mi sembrò... il sole. Mi trattava così bene, e non avevo mai visto un vero giornalista in vita mia. Venne nel locale in cui lavoravo insieme al suo cameraman, mi puntò gli occhi addosso e mi diede un sacco di soldi prima ancora che mi levassi la maglietta. E poi cominciò con i complimenti, e mi chiese cosa ci facessi lì, e... tutte le solite cose che gli uomini fanno per portarsi le ragazze stupide a letto."
Sorrisi ironicamente tra me e me. Trattarmi bene? Ricoprirmi di complimenti? Castiel non lo aveva mai fatto, eppure ero finita nel suo letto lo stesso. Forse non ero stupida, pensai, ero una completa idiota.
"Mi promise che mi avrebbe portata via." continuò a raccontare Mami. "E io ci cascai con tutte le scarpe. Mi offrì la cena in un ristorante. Io non ci ero mai entrata in un ristorante vero, capisci? Ero convinta che mi amasse... e sono rimasta incinta." sbuffò nervosamente e aggiunse, "Mi chiese di abortire. Lo mandai a farsi fottere in quel momento. Decisi di tenere il bambino perché volevo un pezzo di lui con me, per sempre. E in cambio, lui mi abbandonò senza neanche avvertirmi."
La sua storia mi trascinò al punto che le chiesi di andare avanti.
"Poi, quando è nato il mio Castiel, l'ho cercato. Volevo che desse il suo cognome a suo figlio e infondo speravo che ci saremmo sposati, e saremmo stati felici, e... le solite cose che le ragazze stupide pensano, quando vengono ingannate da qualcuno. Non so come, ma riuscii a convincerlo. Forse gli facevo solo pena. Ma comunque, Gabriel se ne andò lo stesso, fece richiesta per l'affidamento di suo figlio qualche tempo dopo e il tribunale glielo concesse senza alcuna obiezione."
Fu quella volta che capii che, a parte gli occhi e la faccia tosta, Castiel non aveva ereditato nulla dal padre. Era strano, eccentrico, presuntuoso, ma lo conoscevo abbastanza bene da sapere che non era cattivo. Almeno non con me. Non avrebbe mai fatto nulla di così terribile nei miei confronti, ne ero certa.
"Castiel non è così." mi sfuggì inavvertitamente.
"Lo so." mi rispose Mami. "Se non stai ancora affogando la depressione nell'alcol è perché mio figlio è un uomo migliore di suo padre. È intelligente, responsabile, generoso... e dannatamente bellissimo."
Mi alzai per scacciare una lacrima di commozione che minacciava di rivelare alla terribile Mami tutta la mia debolezza e andai ad aprire la finestra. Dovetti sembrarle impazzita, perché stava diluviando.
"Che bel temporale!" esclamò lei stirando le braccia.
Io guardai i nuvoloni grigi e minacciosi, pensando a quando lui sarebbe finalmente tornato a casa.
"Già... È davvero bellissimo."